L’astronomo Eamonn Kerins propone di fondere i due approcci utilizzati per la ricerca dell’intelligenza aliena ed usare parte della logica inerente alla teoria dei giochi

L’astronomo Eamonn Kerins dell’Università di Manchester ha sviluppato un approccio alla ricerca di esseri extraterrestri intelligenti su altri pianeti che prevede l’utilizzo della teoria dei giochi. Ha scritto un documento in cui descrive le sue idee e lo ha caricato sul server di preprint di arXiv.

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Scrutare porzioni di cielo
Scrutare porzioni di cielo. Credit: Unsplash/CC0 Public Domain

I metodi attuali

L’attuale approccio alla ricerca della vita intelligente su altri pianeti si basa su due fronti. Il primo prevede la scansione dei cieli alla ricerca di segnali dallo spazio che potrebbero essere creati da esseri intelligenti. Il secondo prevede la scansione del cielo alla ricerca di esopianeti che sembrano essere abitabili. Kerins suggerisce che un modo per fondere i due approcci in una ricerca logica e sistematica dell’intelligenza extraterrestre è usare parte della logica inerente alla teoria dei giochi.

Metodo del transito
Transito di un pianeta sulla sua stella. In basso il grafico della curva di luce.
Credit: Henrykus

Kerins inizia notando che il motivo per cui gli scienziati sulla Terra non abbiano scoperto segnali da esseri su altri pianeti è perché non ne stanno inviando nessuno, nel timore che così facendo potrebbero attirare l’attenzione di avversari ostili. Suggerisce inoltre che se altri sono là fuori, potrebbero ascoltare attentamente quanto noi. Questo porta al paradosso SETI, in cui tutti ascoltano ma nessuno invia. E porta anche alla questione di come risolvere un simile paradosso. La teoria dei giochi suggerisce che entrambe le parti dovrebbero concordare (ovviamente la teoria dovrebbe essere conosciuta anche dall’altra civiltà) che la parte con più accesso ad informazioni dovrebbe essere quella che trasmette per prima.

L’informazione del denominatore comune

Kerins suggerisce anche che entrambe le parti in una situazione del genere cerchino di usare ciò che egli descrive come “informazione del denominatore comune” per decidere se inviare un segnale ad un bersaglio. Tali informazioni, osserva, dovrebbero essere in una forma che entrambe le parti potrebbero riconoscere. Osserva inoltre che tale segnalazione dovrebbe iniziare con qualcosa di molto semplice, come la forza del segnale di transito (la quantità di luce stellare che è bloccata da un pianeta mentre si muove davanti alla sua stella). Tale segnale, osserva, è facile da misurare ed è anche indipendente da qualsiasi forma di vita che potrebbe risiedere su un dato pianeta. Questo approccio restringerebbe anche la ricerca ai soli pianeti che giacciono su un piano relativo alla loro stella rispetto alla nostra e viceversa.

K2-155d
Rappresentazione artistica di K2-155d. Credit: NASA

K2-155d

Conclude che seguire un tale approccio basato sui dati attualmente disponibili restringerebbe la ricerca a un solo esopianeta: K2-155d (una Super-Terra potenzialmente abitabile nel sistema K2-155. È il più esterno dei tre pianeti conosciuti che orbitano attorno alla stella di tipo K K2-155 nella costellazione del Toro). Lo suggerisce, poiché è più visibile dal nostro punto di vista che dall’altro. Dunque dovremmo essere noi i primi a inviare un segnale e poi osservare e ascoltare una presunta risposta.

Riferimenti: