Siamo tutti abituati al fatto che Saturno è “il pianeta con gli anelli”. Ma quanti sanno che in realtà, quando è nato, oltre quattro miliardi di anni fa, Saturno non aveva nessun anello e inoltre avranno una fine?

Siamo tutti abituati al fatto che Saturno è “il pianeta con gli anelli”. Ma quanti sanno che in realtà, quando è nato, oltre quattro miliardi di anni fa, Saturno non aveva nessun anello? E quanti sanno che quegli stessi anelli, che oggi abbiamo la fortuna di poter ammirare con un qualsiasi telescopio amatoriale, tra trecento milioni di anni non esisteranno più? Questi sono i risultati di una ricerca della NASA, che non solo ci parlano della relativamente breve esistenza degli anelli, ma ci mostrano anche come le scoperte nell’ambito dell’astronomia non avvengano dall’oggi al domani, ma siano invece oggetto di complesse dinamiche e necessitino di lunghi periodi di raccolta, gestazione e interpretazione dei dati. Solo dopo, è possibile trarre delle conclusioni, le quali, come qualsiasi altra branca della scienza ci mostra, sono valide, fin tanto che non viene dimostrato il contrario. È il fascino della scienza!

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Una raccolta dati durata decenni

Nel caso specifico degli anelli di Saturno, i dati cui hanno fatto riferimento gli scienziati del Goddard Space Flight Center (un centro ricerche della NASA con sede nel Maryland) sono stati raccolti oltre quarant’anni fa durante i viaggi spaziali delle sonde Voyager 1 e Voyager 2; sono stati confrontati con le più recenti osservazioni delle “piogge polverose” che stanno avvenendo su Saturno e che sono state osservate anche recentemente dal telescopio Keck, installato a Mauna Kea, alle Hawaii.

La ricerca sugli anelli di Saturno è stata finanziata dalla NASA e dal Programma Postdottorato del centro NASA Goddar; inoltre, l’Osservatorio Keck è una partnership scientifica tra il California Institute of Technology, l’Università della California e la NASA.

Una domanda che ci attanagliava da sempre: Saturno ha sempre avuto gli anelli?

I risultati di questa ricerca, innanzitutto, danno finalmente risposta ad una domanda che gli scienziati si ponevano da decenni, forse da secoli: Saturno non è nato con gli anelli; questi si sono formati nel corso del tempo.

Come corollario, potremmo aggiungere che noi uomini del XX e del XXI secolo siamo fortunati, dato che abbiamo l’opportunità di ammirarli ogni volta che vogliamo; astronomi e astrofili del XXV secolo, evidentemente, dovranno accontentarsi delle immagini che i nostri satelliti scattano oggi. Allo stesso tempo, però, chissà quanti anelli ci siamo persi, perché scioltisi nei millenni scorsi: Giove, Plutone… e chissà quanti altri?

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Un lavoro paziente e collettaneo, quello dello scienziato astronomo

Voyager 1
Credit NASA

Un secondo aspetto su cui ci fanno riflettere questi risultati è relativo a quanta pazienza e quanta collaborazione siano necessarie nel mondo scientifico. Come detto, i primi dati che hanno contribuito alla recente scoperta sugli anelli di Saturno sono stati raccolti dalle sonde Voyager 2 e Voyager 1, partite da Cape Canaveral rispettivamente il 20 agosto e il 5 settembre 1977; le prime immagini di Saturno furono scattate nel gennaio del 1979. È stato solo negli anni recenti che queste immagini sono state confrontate con i dati del telescopio Keck; e solo da poco, sono state tratte alcune conclusioni illuminanti. Non solo tempo, quindi, ma anche collaborazione fraterna, fra astronomi e scienziati in genere, provenienti da centri di ricerca e paesi diversi.

La composizione degli anelli e la loro formazione

Ma questo non basta: da una nuova scoperta, derivano sempre nuove domande. Se gli anelli si stanno sciogliendo e non sono sempre esistiti, come si sono formati? Ora, quindi, gli scienziati stanno formulando teorie sull’origine degli anelli. La più accreditata, allo stato attuale, è quella che ritiene che la loro formazione abbia avuto luogo nel momento in cui delle piccole lune ghiacciate che orbitavano attorno al pianeta si sono scontrate tra loro, a causa, probabilmente, di una spinta gravitazionale dovuta al passaggio di un asteroide o di una cometa.

Conosciamo con certezza la composizione degli anelli: particelle di ghiaccio, di dimensioni variabili da quelle di microscopici granelli di polvere a massi di diversi metri di diametro. Come per ogni “oggetto” che orbita attorno ad un pianeta o ad una stella, anche in questo caso le particelle di ghiaccio degli anelli si trovano “schiacciate” tra due forze che si oppongono l’una all’altra: la forza di gravità di Saturno e la velocità orbitale; la prima le vuole riportare verso la superficie del pianeta, la seconda verso lo spazio.

La pioggia anulare e la scomparsa degli anelli

Saturno
Credit: NASA / JPL / Space Science Institute

Degli indizi della “pioggia anulare”(ring rain) ci sono arrivati già all’epoca delle foto inviate nel 1981 dalla sonda Voyager 2: variazioni nella ionosfera (atmosfera superiore) elettricamente carica del pianeta, variazioni di densità negli anelli, tre strette bande scure che circondano il pianeta a livello della stratosfera (medie latitudini) settentrionale, … Oggi, grazie al team di ricerca che lavora alle Hawaii, sappiamo che minuscole particelle degli anelli di Saturno possono assumere una carica elettrica attraverso la luce ultravioletta del sole o tramite delle nubi di plasma emanate dal bombardamento di micrometeoroidi degli anelli.

Non accade sempre, ma quando succede, sulle particelle che hanno subito una variazione nella carica elettrica l’attrazione del campo magnetico di Saturno è maggiore. Le particelle cariche elettricamente si legano al campo magnetico di Saturno e vengono attratte verso la ionosfera; la “caduta” verso il basso delle particelle di ghiaccio dà origine al fenomeno della pioggia anulare. Quando le particelle di ghiaccio cadono sul pianeta si disintegrano e originano una reazione chimica con la ionosfera. Ad un’intensità leggera, corrisponde l’emissione di una luce infrarossa; ad  un’intensità maggiore corrisponde una drastica riduzione dell’emissione. Di ring rain in ring rain, gli anelli un giorno cesseranno semplicemente di esistere. Ma di qui ad allora, saranno passati dai 100 ai 300 milioni di anni, anche se dalla Terra smetteranno di essere visibili nel 2025 per alcuni anni, fino al 2032.