Ecco le nuove affascinanti scoperte (anche italiane) sui lampi radio veloci.

I Fast Radio Burst (FRB), o lampi radio veloci, rappresentano uno dei fenomeni più enigmatici dell’astrofisica moderna. Scoperti poco più di dieci anni fa, questi brevissimi lampi in banda radio rilasciano, in appena pochi millisecondi, una quantità di energia tra le più elevate osservabili nell’universo. Provenienti principalmente da sorgenti extragalattiche, l’origine dei FRB rimane ancora sconosciuta, nonostante i numerosi sforzi della comunità scientifica per comprenderne i meccanismi.

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Un recente studio guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha permesso di rilevare l’emissione radio persistente più debole mai osservata finora per un FRB. Il protagonista di questa scoperta è FRB 20201124A, un lampo radio veloce individuato nel 2020, la cui sorgente si trova a circa 1,3 miliardi di anni luce dalla Terra. La ricerca, condotta in collaborazione con le Università di Bologna, Trieste e della Calabria, e con il supporto di istituti di ricerca internazionali in Cina, Stati Uniti, Spagna e Germania, offre nuovi indizi sull’origine di questi fenomeni cosmici.

Lo studio dell’INAF

Credit: US NSF/AUI/NSF NRAO S. Dagnello

Grazie alle osservazioni effettuate con il Very Large Array (VLA), è stato possibile confermare la teoria che collega l’emissione radio persistente dei FRB a una bolla di plasma. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature, suggeriscono che questa “bolla” di gas ionizzato circondi il motore centrale del FRB, come previsto dal modello teorico.

«Le nostre osservazioni hanno confermato che l’emissione persistente associata ad alcuni FRB si comporta come previsto dal modello di emissione nebulare», spiega Gabriele Bruni, ricercatore INAF a Roma e primo autore dello studio. «In particolare, abbiamo misurato la debole emissione persistente proveniente dalla stessa posizione del FRB. Estendendo di due ordini di grandezza l’intervallo di flusso radio esplorato finora per questi oggetti».

Cosa c’è alla base del fenomeno

Il nuovo studio contribuisce anche a delineare la natura del motore responsabile dei FRB. Secondo i dati raccolti, alla base del fenomeno potrebbe esserci una magnetar. Si tratta di una stella di neutroni fortemente magnetizzata, oppure un sistema binario a raggi X con un elevato tasso di accrescimento. I venti prodotti da queste sorgenti sarebbero responsabili della creazione della bolla di plasma che origina l’emissione radio persistente. Questo implica una relazione fisica diretta tra il motore del FRB e la bolla, situata nelle sue immediate vicinanze.

La campagna osservativa è stata avviata a seguito di un precedente lavoro, guidato da Luigi Piro dell’INAF, che aveva identificato un’emissione persistente nella galassia ospite di questo FRB. Tuttavia, la posizione dell’emissione non era stata determinata con sufficiente precisione per poter associare i due fenomeni. «In questo nuovo studio, abbiamo utilizzato il VLA per ottenere una risoluzione spaziale più elevata, accompagnata da osservazioni in diverse bande con l’interferometro Noema e il Gran Telescopio Canarias (GranTeCan)», spiega Piro. «Queste osservazioni ci hanno permesso di ricostruire la struttura della galassia e di scoprire la presenza di una sorgente radio compatta. La bolla di plasma del FRB, immersa in una regione di formazione stellare».

I segreti dei lampi radio veloci

Gran parte dello studio è stata dedicata a escludere che l’emissione radio persistente provenisse da una regione di formazione stellare, dimostrando così il suo legame fisico con la sorgente del FRB. Le osservazioni in banda millimetrica effettuate con Noema e quelle in banda ottica con GranTeCan hanno permesso di misurare rispettivamente la quantità di polveri e l’emissione di idrogeno ionizzato. Questo ha confermato che il tasso di formazione stellare locale è troppo basso per giustificare l’emissione radio continua osservata.

La maggior parte dei FRB non presenta emissioni persistenti. Finora, solo due casi di emissione persistente erano stati associati a FRB. Ma con un livello di luminosità che non permetteva di testare adeguatamente il modello teorico. Nel caso di FRB 20201124A, la sua distanza relativamente vicina ha permesso di misurare l’emissione persistente nonostante la bassa luminosità, aggiungendo così un ulteriore tassello al complesso puzzle che circonda la natura di queste affascinanti sorgenti cosmiche.

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